‘Alessandro Piperno: una visione iconoclasta dell’ebraicità’.
Abstract
Uno degli eventi letterari italiani del 2005 fu l'uscita del romanzo Con le peggiori intenzioni di Alessandro Piperno. Questo romanzo, che narra la saga di una ricca famiglia ebrea romana, è esemplare della nuova stagione della letteratura ebraica italiana: evidenzia un rapporto esplicito e liberato, senza complessi, dello scrittore ebreo con l'universo ancestrale. Con l'irriverente Piperno, siamo ben lontani dai pudici Svevo, Bassani e Primo Levi, la cui scrittura dell'identità era piena di ritegno e di sottintesi, cioè intimista, confidenziale; con il nostro, l''ebraicità' ‒ più che l'ebraismo ‒ diventa una realtà culturale e sociologica che egli si riappropria, analizzandola e criticandola con una libertà di tono e un'ironia talvolta sarcastica che si riscontra solo nella letteratura ebraica americana a cui si ispira abbondantemente. Piperno ‒ secondo taluni il nuovo Philip Roth italiano ‒ ci offre difatti una riflessione iconoclasta sulla realtà e l'identità ebraica italiana odierna (la Shoà, la memoria, Israele, l'assimilazione) sulle quali costruisce il suo personalissimo edificio identitario. Pur affermandosi in quanto ebreo ‒ benché non lo sia secondo la legge mosaica ‒ e dando voce con fierezza alla sua ebraicità, dissacra l'universo dei padri, magari nell'intento di inserirvisi più facilmente e anche di integrarlo meglio alla realtà italiana di oggi: se i suoi ebrei sono umani, troppo umani, è anche perché devono uscire dal ghetto e rivelare la loro dimensione universale: gli ebrei italiani sono cittadini come gli altri, parlarne con ritegno non ha più senso. È perciò interessante studiare la posizione di Piperno tra fedeltà e trasgressione, considerare la natura della sua ebraicità, che certi hanno ritenuto superficiale, poco interiorizzata, anzi caricaturale e 'commerciale' ‒ forse è vero? ‒ ma che ha almeno il merito di affermarsi senza vergogna.
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